In Italia, il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (“TUIR”) stabilisce la tassabilità sia dei redditi percepiti da soggetti residenti sia di quelli percepiti da soggetti non residenti nel territorio dello Stato. L’unica differenza tra le situazioni è che, mentre per i residenti nel nostro Paese il reddito su cui si calcolano le tasse è costituito da tutti i redditi ovunque prodotti (principio di tassazione sul reddito mondiale o “worldwide taxation principle”), per i soggetti non residenti la tassazione è limitata ai soli redditi prodotti nel territorio dello Stato (principio di territorialità).
La normativa vigente in materia tributaria non contiene una specifica definizione di soggetto non residente che, però, va dedotto al contrario, partendo dalla definizione di soggetto fiscalmente residente in Italia contenuta nell’art. 2, comma 2 (persone fisiche) e nell’art. 73, comma 3 (società ed enti) del TUIR il quale stabilisce che “si considerano soggetti fiscalmente residenti:
– le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta, sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio italiano il domicilio (vale a dire la sede principale dei propri interessi economici ed affettivi) oppure la residenza ai sensi del codice civile (vale a dire la dimora abituale);
– le società e gli enti che hanno, per la maggior parte del periodo d’imposta, la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.
Più approfonditamente, è bene sottolineare che, ai fini della definizione di residenza fiscale italiana, non ha alcun rilievo la cittadinanza. In altre parole, anche un individuo con passaporto italiano può considerarsi fiscalmente non residente se per la maggior parte del periodo di imposta ha il proprio domicilio e la residenza in un altro Paese (ed è conseguentemente iscritto all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero o AIRE). Infine, Come già anticipato, nei confronti dei soggetti fiscalmente non residenti vige il “principio di territorialità”, secondo il quale la tassazione italiana si applica limitatamente ai redditi prodotti nel territorio dello Stato.
Quanto all’attività sportiva svolta in forma professionistica, la prestazione lavorativa oggetto del contratto può assumere la forma di lavoro subordinato ovvero di altre forme negoziali (contratto di lavoro autonomo, co.co.co etc) ed in pratica l’individuazione della specifica categoria contrattuale risulta fondamentale all’individuazione delle modalità di tassazione del reddito conseguito dagli sportivi professionisti.
L’attività in forma subordinata o in altra forma a essa equiparata, le somme ed i valori (compresi i cosiddetti fringe benefit) percepiti in relazione allo svolgimento del rapporto di lavoro sportivo saranno assoggettati a Irpef con aliquote progressive per scaglioni d’imposta su una base d’imposta determinata secondo le regole proprie del reddito di lavoro dipendente e del reddito ad esso assimilato di cui al capo IV del Tuir. In particolare, in maniera progressiva secondo la tabella che segue:
Se, invece, il rapporto di lavoro sportivo professionistico è normativamente inquadrabile entro il lavoro autonomo, la tassazione applicata avverrà in base al regime fiscale prescelto dal lavoratore autonomo (aliquote progressive Irpef/imposta sostitutiva) e la base imponibile sarà determinata secondo le regole ordinarie del capo V del Tuir ovvero le regole speciali contemplate dalle norme disciplinanti i regimi di favore per i lavoratori autonomi (ad esempio, regime forfettario).
L’art. 17 (Entertainers and sportspersons) del modello di Convenzione Ocse detta regole specifiche di tassazione per i redditi degli sportivi professionisti dove si evidenzia che una una deroga alla disciplina convenzionale prevista per i redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo a cui contrattualmente le prestazioni sportive possono essere ricondotte. Qui, si stabilisce che i redditi percepiti dagli sportivi professionisti sono imponibili nello Stato in cui tali attività sono svolte.
Una corretta pianificazione fiscale internazionale dello sportivo professionista non può prescindere da una valutazione circa i particolari regimi agevolativi introdotti dai vari stati tra cui l’Italia al fine di attirare capitale umano come i cosiddetti regimi per i “lavoratori impatriati”, previsto dall’art. 16 del D.lgs. 147/2015 e il regime dei “neo-residenti” disciplinato dall’art. 24-bis del Tuir.
Il primo prevede che “i redditi prodotti in Italia dagli sportivi professionisti che non sono stati residenti in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento della residenza fiscale e si impegnano a risiedere in Italia per almeno due periodi d’imposta concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50% del loro ammontare. La fruizione dell’agevolazione è subordinata al versamento di un contributo pari allo 0,5% della base imponibile e trova applicazione a decorrere dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza ed è valido per cinque periodi d’imposta. In determinate situazioni di legge, il regime può essere prolungato per ulteriori cinque periodi d’imposta”.
Per i “neo-residenti” ossia le persone fisiche neo-residenti in Italia, la legge prevede, invece, “ l’applicazione di un’imposta sostitutiva fissa sui redditi prodotti all’estero (cosiddetta “flat tax”), pari a 100mila euro per ciascun anno di imposta, indipendentemente dall’ammontare dei redditi esteri del soggetto optante. Sono ammessi a beneficiare del regime agevolato gli individui che non siano stati fiscalmente residenti in Italia per almeno nove dei dieci periodi d’imposta precedenti l’inizio del periodo di validità dell’opzione. La durata massima del regime è pari a 15 anni a partire dal primo periodo d’imposta di efficacia”.